
l’ospite inattes* 03 ed. 2025 – Federica Verona
Se i periferici diventassero il centro
Di Federica Verona
In questi giorni, nella metropolitana di Milano, capita di incrociare giovanissimi peruviani che fanno freestyle tra i vagoni. Rappano in spagnolo, ma ogni tanto passano all’italiano: “Raga, io sono peruviano, lo so che non parlo tanto bene l’italiano, ma sto imparando piano piano, perché piano piano si arriva lontano”. Hanno qualche tatuaggio in faccia, felpe larghe, un cappellino con la visiera piatta in testa e un piccolo amplificatore in mano che funge da base musicale. Improvvisano strofe ispirandosi a quello che vedono: una sciarpa rossa, un gesto, un commento. Se li si filma, guardano sfacciatamente in camera, sperando di finire su TikTok e magari diventare virali. E spesso ci riescono: postare un loro video porta infatti a migliaia di visualizzazioni in pochissimo tempo.
Milano è la città leader in Italia per spesa culturale: 167 milioni di euro per l’acquisto di libri, 102 milioni per i concerti. La seconda voce, con 104 milioni di euro, è il calcio. Qui si concentra il 25,2% della spesa nazionale per il teatro lirico, il 15% per il balletto, il 10,6% per il teatro di prosa, il 10% per i libri, il 5,3% per il cinema. Complessivamente, la lettura e la partecipazione a eventi o spettacoli rappresentano il 12% del totale nazionale, un dato significativo considerando che Milano raccoglie solo il 2,3% della popolazione italiana. Sono dati forniti dall’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori, in collaborazione con Pepe Research e SIAE per BookCity Milano.
Eppure, a Milano sembra esistere una doppia cultura che scorre su binari paralleli senza mai incontrarsi. Da un lato, l’offerta alta e di qualità proveniente da Fondazioni private, Musei pubblici, cinema, Gallerie e iniziative aperte alla città. Dall’altro, un mondo periferico e underground, vissuto da chi spesso non può permettersi o non raggiunge l’offerta culturale “ufficiale”. Questo mondo occupa spazi residui, risignificandoli. È fatto di chi balla, fa parkour, suona, rappa, o si esibisce in breakdance per strada. Da chi cerca un linguaggio per costruire una comunità attraverso gesti, suoni e azioni artistiche libere. Spesso si cerca, dall’alto, di intercettare queste comunità popolari e periferiche, provando a coinvolgerle in progetti sociali complessi. Ma non è facile: quel linguaggio sa difendersi, proteggersi e tenersi lontano dai cliché culturali borghesi. Festival cittadini aperti ai territori tendono spesso inoltre, anche con le migliori intenzioni, a riproporre in periferia ciò che accade in centro. Questo rischia di trasformarsi in una forma di colonizzazione culturale, lontana dalla realtà di quei luoghi.
Un tempo, a Milano, ad esempio era molto facile accedere a concerti d’avanguardia: bastava entrare in un centro sociale per ascoltare Lydia Lunch, andare in un parco per vedere i Sonic Youth o sentire gruppi come i Jesus Lizard, in piccoli locali dove una birra costava davvero poco. Oggi è tutto più difficile. I centri sociali sono stati progressivamente smantellati, senza mai considerarli come potenziali centri culturali “consentiti”, capaci di offrire cultura accessibile dal basso. Oggi anche i concerti alternativi hanno prezzi elevati, e le consumazioni nei locali sono tutt’altro che economiche. Il rischio è che la cultura, in ogni sua forma, diventi sempre più appannaggio di chi fortunatamente, in una città sempre più esclusiva, ha un reddito sufficiente per permettersi non solo palestra, aperitivi e cene fuori, ma anche cinema, mostre e concerti.
Ma come dice Cesare Moreno, maestro di strada a Napoli: “La periferia innanzitutto è riferita a se stessa, i periferici si riferiscono solo a se stessi. E c’è un nucleo di piccola e media borghesia che si è arrogata il diritto di parlare a nome della città, facendolo con canzoni, letteratura e cinema. Il problema fondamentale della periferia è non avere voce propria nella scena pubblica, e starci solo per le cose negative”. Cesare Moreno ha ragione, perché forse, invece di replicare l’offerta del centro in periferia, dovremmo osservare e comprendere quel sottobosco culturale che ancora ci sfugge.
Capire come usare linguaggi e canali che ci appaiono lontani o persino volgari. Dovremmo dare spazio a espressioni che, anche se non le comprendiamo appieno, contribuiscono a creare forme di ribellione, protesta o semplicemente racconto di sé, dal basso. Invece di sostituirci all’altro nel tentativo di risolvere il suo “problema”, dovremmo provare a sentirci noi, per un attimo, esclusi. E ascoltare. Solo così la cultura potrà tornare a essere trasversale e diventare, ancora una volta, un mezzo potentissimo.
Federica Verona
Architetta, urbanista, dedicata al disagio abitativo, a progetti di social housing e processi di diffusione della cultura come motore sociale in contesti abitativi e periferici. Scrive di città per diverse riviste e per Repubblica Milano. Consigliera di amministrazione del Consorzio Cooperative Lavoratori, fondatrice di Super, il festival delle periferie.
L’Ospite Inatteso
Rubrica SocioCulturalUrbana
Prima edizione 2016
Seconda edizione 2025
Uno spazio di lettura e riflessione su Milano
A otto anni di distanza dalla prima edizione, riprendiamo la rubrica che si confronta con amici, artisti, giornalisti, esponenti della cultura e della vita artistica che hanno in Milano un importante punto di riferimento.
Gli articoli offrono suggestioni, spunti e opinioni su come sta cambiando non solo Milano ma anche tutto il Mondo culturale che le gira attorno.