L’ospite inatteso, #01 – Luca de Gennaro
Milano di fretta
Milano è l’unico posto al mondo dove un tassista che ti lascia sotto casa alle 3 di notte ti saluta dicendoti “Buona serata”. È successo più volte.
Sarà pure un modo di dire, una frase fatta, ma insomma, tu mi hai preso fuori da un locale sui Navigli (dove ci sono i locali e quindi dove la gente, se se ne va, vuol dire che ha già passato lì la sua serata), mi porti in un quartiere dove ci sono solo case di gente che ci vive e neanche l’ombra di un bar aperto dopo le sei di sera, magari hai anche sentito il tintinnio delle chiavi di casa che mi sono preparato poco prima della fine della corsa, e magari ti ho anche detto: “Giri pure qui a destra poi può accostare che sono arrivato a casa”, insomma hai tutti gli elementi per capire che la mia giornata è finita, che non ci sarà più nient’altro se non i rituali che mi portano verso il letto e il sonno, ma mi devi comunque augurare di continuare a fare qualcosa d’altro, e che sia pure divertente. “Buona serata”. Perché Milano non deve spegnersi mai, deve darti sempre qualcosa, l’aftershow, l’after tea, c’è sempre qualcosa “dopo”. Però c’è sempre anche qualcosa “prima”, perché se io la mattina prima di cominciare a lavorare vado in palestra, quando entro alle otto e mezza incontro già quelli che ne escono. Tutti precisi con la cravatta la borsa professionale pettinati profumati che hanno già fatto palestra sauna doccia barba deodorante perfetti pronti per affrontare una giornata che non finisce mai, e ti guardano un po’ sprezzanti come a dire: “Così tardi arrivi? Bella la vita di uno come te che chiaramente non ha un cazzo da fare. Io invece, guarda qua, figa, già operativo!” L’istruttore della palestra mi dice che alle sette, quando apre, ci sono già tre o quattro persone che aspettano frementi di entrare, guardando l’orologio. Sono vent’anni che abito a Milano, ma ancora non capisco questa ansia da prestazione continua. Entri in metropolitana alle otto del mattino e incontri lo sguardo di qualcuno che vuole dirti “Tu mi stai facendo perdere tempo. Questo treno si è fermato qui per farti entrare e per colpa tua sto facendo tardi”. Ecco perché i milanesi hanno inventato l’aperitivo come istituzione. Per non avere mai la sensazione di perdere tempo. Perché dopo il pomeriggio “operativo” non è prevista una tregua, una parentesi, un’ora in cui ci si rilassa. No, anche quella che potrebbe essere una piacevole terra di nessuno deve essere codificata. Avete notato che per l’aperitivo non si usa il verbo “bere” ma “fare”? “Andiamo a fare l’aperitivo”. Ok. Dobbiamo sapere tutti che stiamo andando a “fare” qualcosa, anche in quel momento devi essere convinto che stai costruendo qualcosa, che non stai perdendo tempo. Prima di venire a Milano vivevo a Roma, dove, almeno allora, negli anni ’80, il sentimento comune era esattamente il contrario. Dire che lavoravi tanto era quasi degradante, lo si confessava sbuffando agli amici, che alla drammatica notizia del tuo carico di lavoro comunque eccessivo ti guardavano come a dire “Mi dispiace per te”. Era fiero di sé chi poteva permettersi di dire a testa alta che se la prendeva comoda. A Milano, guai. Se ti metti d’accordo per pranzare con qualcuno ti senti dire “Si ma al volissimo che alle 14,30 ho un meeting”. Nessuno ti dice “Andiamo a pranzo insieme?”, ti dicono “Ci mangiamo una cosa veloce?”. Secondo me, in molti casi, fanno finta. È come se bisognasse ostentare fretta, impegno continuo, sottomissione al lavoro. Quando stavo lentamente abituandomi ai ritmi milanesi notavo colleghi che si presentavano alle riunioni con mille fogli scarabocchiati e interi faldoni sottobraccio (messaggio: “Io lavoro tantissimo e non avendo neanche il tempo per selezionare i documenti mi devo portare dietro tutto”) e nell’altra mano una tazza di caffè, una bottiglietta d’acqua, oppure una banana (messaggio: “non ho neanche tempo per mangiare, la priorità è sempre il lavoro”). Ho ricevuto email dalla sala parto, di colleghe che dovevano per forza dimostrare che non staccavano dal lavoro neanche quando stavano per mettere al mondo un figlio. E allora, ogni tanto proviamo a fregarla, questa città, facciamo finta di essere frenetici come gli altri ma giriamo l’angolo e fermiamoci a visitare una chiesa, leggere il giornale seduti al bar prendendo un caffè, attraversare a piedi un parco. Sono tutte attività che durano meno di mezz’ora, ma ti fanno guadagnare tanto in termini di umore, respiro, lucidità mentale. Poi riprendiamo pure il ritmo di Milano, anche perché in fondo ci piace se, alle 3 di notte, quando ormai hai dato tutto e vuoi solo andare a dormire, qualcuno ti dice “Buona serata”.
Luca de Gennaro – Giornalista
L’Ospite Inatteso
Rubrica SocioCulturalUrbana
Prima edizione 2016
Nuovi episodi da gennaio 2025
Uno spazio di lettura e riflessione su Milano
A otto anni di distanza riproponiamo una collezione di scritti raccolti tra amici, artisti, giornalisti, esponenti della cultura e della vita artistica che hanno in Milano un importante punto di riferimento.
Gli articoli offrono suggestioni, spunti e opinioni su come sta cambiando non solo Milano ma anche tutto il Mondo culturale che le gira attorno.